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A differenza della depressione maggiore, che è una condizione molto più grave e che in genere è slegata da eventi ben definiti, il “post vacation blues” è generato esclusivamente dal rientro dalle vacanze, e pertanto è una condizione transitoria e facilmente trattabile.
E niente… ormai le vacanze sono già un ricordo lontano.
Devo dire che mai come quest’anno il rientro è stato più faticoso.
Ho passato l’estate in Spagna zompettando da Gran Canaria a Tenerife fino ad arrivare a Valencia. Per chiudere in bellezza ci ho messo pure 3 giorni nel Monferrato di totale relax al motto di “me myself and I”.
Potete capire il mio disagio quando mi sono ritrovata seduta alla scrivania davanti al pc del quale avevo pure dimenticato la password per accedere…
Mi sentivo e mi sento tutt’ora stanca, demotivata e triste, quindi mi sono informata ed ho scoperto che questa sensazione che molti provano al rientro dalle vacanze ha un nome specifico, viene detta “post vacation blues”.
Non paga delle info trovate, ho deciso di intervistare una psicologa professionista, la Dottoressa Elisa Van Eynde, per capire meglio cosa sia, che sintomi provoca e come affrontarla al meglio.
Ecco cosa ne è uscito fuori… Buona lettura!
La cosiddetta “post vacation blues” o altrimenti detta “depressione da rientro” è una condizione che sicuramente molti di noi conoscono bene. È raro che l’idea di ricominciare a lavorare o studiare generi allegria… ma in alcune persone questa poca voglia di ricominciare si trasforma in una vera e propria sindrome, quindi uno stato di malessere costituito da un range di sintomi predefiniti, che si configura come simile a quello della depressione.
A differenza della depressione maggiore, che è una condizione molto più grave e che in genere è slegata da eventi ben definiti, il “post vacation blues” è generato esclusivamente dal rientro dalle vacanze, e pertanto è una condizione transitoria e facilmente trattabile.
Il “post vacation blues” si caratterizza per una serie di sintomi che non sono solo mentali, ma anche fisici (i cosiddetti sintomi psicosomatici). Oltre al tono dell’umore deflesso, possono essere presenti apatia e mancanza di iniziativa, sensazione di stordimento, un generico calo dell’attenzione. Oltre a questi sintomi che descrivono una deattivazione nervosa, e che sono tipici della depressione, ve ne sono altri opposti “attivanti”, come la possibilità di vivere stati d’ansia o avere attacchi di panico. In questo quadro, le conseguenze fisiche sono frequenti mal di testa, difficoltà digestive e difficoltà a dormire.
Pertanto, se al rientro dalle vacanze siamo particolarmente tristi e svogliati, ci agitiamo esageratamente all’idea di ricominciare le attività abituali ed esperiamo alcuni dei sintomi fisici sopra descritti, se questa condizione si protrae da più di qualche giorno, potremmo ragionevolmente credere di aver sviluppato il “post vacation blues”.
Per uscirne, potremmo parlarne col medico curante o con uno psicologo o psicoterapeuta, e adottare alcuni accorgimenti per ridurre i sintomi.
Sì. Dati Istat rilevano che lo stress da rientro colpisce circa il 35% della popolazione, ovvero più di un italiano su 3, con maggior incidenza tra i 25 e i 45 anni. In questo quadro, sicuramente la pandemia non ha aiutato.
L’Istituto Piepoli, azienda indipendente che si occupa di ricerca e sondaggi d’opinione, ha rilevato in un recente sondaggio che i maggiori fattori di stress al rientro sono:
Questo dato non stupisce, dal momento che la situazione prolungata di pandemia ha prodotto un notevole aumento di sintomi ansiosi e lo sviluppo di pensieri negativi in gran parte della popolazione. È come un fattore latente che si aggiunge a tutti quelli che possono concorrere alla nascita di stati di malessere. Proprio per questo motivo, la richiesta di aiuto psicologico è notevolmente aumentata nell’ultimo anno e mezzo.
Essendo una condizione passeggera, normalmente si risolve nell’arco di qualche settimana, Tuttavia, in soggetti particolarmente ansiosi o tendenti alla depressione, potrebbe diventare la “molla” che scatena problemi latenti più seri e duraturi. Pertanto, non è da prendere sottomano, ed è possibile adottare una serie di accorgimenti per coadiuvare la risoluzione.
La chiave per riprendere è GRADUALITÀ.
Può essere utile tornare in città qualche giorno prima dell’inizio dell’attività lavorativa per permettere all’organismo di riadattarsi all’ambiente.
Una volta operativi, è consigliabile non strafare, e avere l’accortezza di occuparsi degli impegni con calma, incrementando man mano l’attività. Inoltre, soprattutto se durante le vacanze ci siamo concessi numerosi peccati di gola, possiamo ri-regolarizzare l’alimentazione, introducendo frutta e verdura e bevendo molta acqua per depurare il corpo. Un’altra possibilità che molti potrebbero sfruttare per rendere il processo di restart più graduale, è avvalersi dello smartworking, e non rientrare subito nel clima frenetico del posto di lavoro.
Infine, è consigliabile continuare a concedersi momenti di relax e svago, soprattutto nei weekend. Non riempiamo subito l’agenda di incombenze, ma ripartiamo a piccoli passi, proprio come un atleta che non si è allenato per molto tempo.
Per quanto riguarda la prevenzione, i cambiamenti dovrebbero essere soprattutto a livello sociale, piuttosto che individuale. Una delle cause maggiori del “post vacation blues” è la lunghezza delle ferie, generalmente concentrate in agosto. Riprendersi dopo un periodo di inattività prolungato è notevolmente difficile. Per migliorare questa situazione, si potrebbe prendere spunto dal modello nord europeo, che prevede una serie di ferie brevi distribuite durante l’anno.
Per quanto riguarda il lavoro del singolo, sicuramente è utile lavorare sulla consapevolezza dell’essere tendente a esperire stati di disagio dopo le vacanze, e quindi partire sapendo che al rientro sarà utile riprendere con la giusta gradualità.
Ci terrei a fare alcune considerazioni sulla comparsa di molte “sindromi psicologiche” che hanno fatto capolino nel panorama dei disturbi mentali negli ultimi anni.
In particolare nel periodo di pandemia, sono nate “la sindrome della Capanna” (la paura di tornare nel mondo esterno dopo un periodo di lockdown) e il “languishing” (uno stato simil depressivo caratterizzato da apatia e svogliatezza). Anche la “post vacation blues” è una sindrome individuata recentemente.
Ma cosa significa tutto questo? Gli psicologi stanno cercando di “patologizzare” qualsiasi condizione o siamo sempre più un mondo di “pazzi”? … Assolutamente no!
C’è una grande differenza fra i disturbi mentali propriamente detti e le condizioni sopracitate. Il fatto che si leghino a eventi specifici ne denota la temporaneità e reversibilità. La parola “sindrome”, che potrebbe spaventare, viene usata perché questi stati di disagio presentano delle caratteristiche comuni, e la parola sindrome serve proprio per mettere sotto un unico cappello una serie di sintomi. L’intento non è quello di clinicizzare per forza tutte queste situazioni di disagio, ma piuttosto di riconoscerle e dargli un nome.
Nella nostra società, purtroppo, c’è sempre stata la tendenza a considerare il benessere psicologico non prioritario. La salute fisica lo è, tant’è che anche per un piccolo problema, come un raffreddore, mi sento in diritto di chiedere il parere del medico di base. Al contrario, per arrivare a chiedere un consulto psicologico devo veramente essere “alla frutta”.
Persistono stereotipi come “dallo psicologo ci vanno solo i pazzi”, “devo farcela da solo”. E inoltre, spesso è difficile permettersi lo psicologo, considerando che la maggior parte lavora in privato. Ecco perché negli ultimi anni, fortunatamente, si stanno facendo passi avanti per introdurre la figura dello PSICOLOGO DELLE CURE PRIMARIE, gratuito, esattamente come il medico di base. Una figura importantissima, che potrebbe individuare e circoscrivere problematiche inizialmente non gravi, ma che, se non viste, potrebbero sfociare in disturbi estremamente invalidanti. Un alto costo non solo per l’individuo, ma anche sociosanitario.
Ritengo quindi che la “patologizzazione” di stati di disagio comuni e non particolarmente gravi, sia utile per mettere l’accento su tutte quelle condizioni che inficiano il benessere e la salute della persona, ma che spesso non vengono prese in considerazione. La speranza è quella di costituire una società dove la salute della persona è considerata “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia” (OMS, 1948).
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Che dire, una conversazione davvero illuminante.
Ringrazio la Dottoressa Elisa per il tempo che ci hai dedicato.
Comunque io ho compreso di essere in pieno “post vacation blues”.
Personalmente per superare questo momento di disagio sto cercando di staccare la mente dal lavoro andando in palestra, seguendo corsi ed uscendo con gli amici nel tempo libero così da tenermi occupata e non pensare al fatto che fino a poco tempo fa il mio principale pensiero era come togliere la sabbia dal costume da bagno…
In ogni caso se vedete che lo stato di disagio persiste nel tempo, non abbiate paura a chiedere un consulto da uno specialista… a volte basta parlarne per affrontare tutto con una nuova prospettiva.
Ps: Alla fine della chiacchierata Elisa mi ha stretto affettuosamente la mano e lasciato il suo biglietto da visita dicendomi che per qualsiasi cosa potevo contattarla… Credo che abbia percepito l’alto quoziente di pazzia che mi contraddistingue… Però in fin dei conti è così bello vivere la vita con un pizzico di follia!
Maaa… quand’è che iniziano le vacanze di Natale?!
Ci vediamo nel prossimo articolo ^ ^
Mi chiamo Elisa Van Eynde e sono nata a Torino, mamma piemontesissima, padre Belga. Le tematiche psicologiche mi hanno appassionata fin dall’infanzia, e, dopo gli studi classici e la scoperta dei miti greci e di Freud, iscrivermi a psicologia è stata una scelta naturale.
Durante il mio percorso triennale, mi sono appassionata alle Neuroscienze e all’idea che per capire la mente sia imprescindibile comprendere anche il corpo, poichè queste due parti sono indissolubilmente legate. Così, mi sono iscritta al corso di laurea magistrale in Scienze del Corpo e della Mente, una facoltà con molti esami di medicina, che mi hanno permesso di comprendere come la relazione fra mente e corpo sia continua, e come la salute della persona dipenda dalla buona riuscita di questo dialogo. Durante il percorso di studi, ho conosciuto la meditazione Mindfulness, un metodo che mira a ristabilire questo equilibrio.
Dopo la laurea ho svolto un tirocinio di un anno in cui ho coadiuvato la conduzione di gruppi Mindfulness Based al CSM (Centro di Salute Mentale) dell’Asl di Torino, e l’anno successivo ho intrapreso e portato a termine un corso per diventare istruttrice MBSR, un protocollo Mindfulness di gruppo.
Attualmente lavoro in un’azienda dove offro percorsi di counseling psicologico ai dipendenti e dove ho implementato un metodo di colloqui di selezione volto a rilevare le caratteristiche psicologiche dei candidati, con lo scopo di verificare se ad alti livelli di intelligenza emotiva corrispondono migliori risultati e maggiore adattamento e benessere nel contesto aziendale.
Inoltre, svolgo attività privata offrendo percorsi di sostegno psicologico individuale e percorsi di Mindfulness e yoga meditativo individuali o di gruppo.
Ritengo che in questo lavoro sia necessaria una formazione continua, e da gennaio incomincerò un percorso di 4 anni per diventare psicoterapeuta cognitivo costruttivista.
I miei contatti:
Francesca, Zia Franca per gli amici.
Ho tante passioni, tra le quali cinema, pittura, botanica, cucina, moda e viaggi.
Mi piace raccontare in maniera personale e simpatica le cose che scopro.
Drenax Forte è una linea di integratori alimentari studiata in Italia e che vanta un brevetto unico dato dall’associazione tra Lespedeza e Rutina.